domenica 21 marzo 2010

sabato 20 marzo 2010

Impegno e partecipazione.

Per un dibattito rinnovato sull’università.

In un quadro socio-culturale ideale, l’università, come la scuola, dovrebbe essere sempre un bene comune, una comunità che crea e fonda spazi di condivisione dei saperi, di partecipazione attiva, di coesione democratica, e propone e promuove il pluralismo della dinamicità e dell’attività del pensiero critico, innovativo, multiforme. La tensione alla ricerca e l’aspirazione alla scoperta si dovrebbero coniugare sempre in un orizzonte che non preveda prospettive individualistiche e sfrenatamente competitive.
I singoli saperi, nonostante la loro complessità, specificità e specializzazione, dovrebbero essere sempre in grado di fondersi in universi di senso contrari alla frammentazione, alla compartimentazione, alla settorializzazione. I significati, i modi e le direzioni si dovrebbero intersecare in maniera solidale e sistemica: diversamente, il disorientamento si potrebbe propagare in forme di smarrimento caotico, provocando inevitabili naufragi. Questa è la rappresentazione di un’università «senza condizione» (Jacques Derrida), di un modello teorico potente, che, purtroppo, a volte, rischia di sbiadirsi, di dissolversi di fronte a uno sguardo miope.

Oggi l’università, come la scuola, viene attaccata da più parti, è in pericolo perché c’è chi tenta di delegittimarla, con l’intenzione di ridurla a sede finale di una formazione gerarchizzata e solo per pochi. Ogni sforzo di riforma che muova dalla convinzione che l’accademia sia popolata da «fannulloni» e da «cani e porci» non può che scontrarsi con la forza della passione e della serietà delle persone che all’università lavorano e studiano responsabilmente, o almeno questo è il nostro augurio. E la tanto invocata e sbandierata “meritocrazia”, che sembra essere una panacea salvifica, se fraintesa, porta ad allontanarsi dai problemi reali dell’università, da come farla crescere in qualità e quantità, insieme. Lo stordimento meritocratico può giungere, a volte, persino all’esaltazione di impulsi aristocratici, solo elitari e esclusivi. Ancora: i ricercatori e i professori, le strutture e il sistema accademico nel suo complesso si dovranno confrontare, sempre piú frequentemente, con procedure valutative, ma, parafrasando Giovenale, chi valuterà gli stessi valutatori?
Devono essere fatti ancora molti passi prima di giungere a una matura cultura della valutazione, a cui devono essere sottoposti anche tutti quei dispositivi che garantiscono la libertà ‘gestionale’ (individuale e istituzionale) a vari livelli nella ricerca e nella didattica che vanno sotto il nome di “autonomia”, da declinare sempre secondo forme non arbitrarie ma equilibrate, regolate e non capricciose. La gestione delle risorse non dovrebbe assecondare i processi di razionalizzazione che impoveriscono anche i processi di democratizzazione: sono auspicabili, dunque, per gli studenti, tasse non elevate e borse di studio consistenti, e, per il personale, un flusso costante di reclutamento e di aggiornamento. Solo le riforme che avranno origine dal rispetto reciproco e dal dibattito allargato si potranno affermare con solida fondatezza.

Le politiche che propongono di continuo solo slogan vuoti, meramente propagandistici, in cui imperversano la distorsione e l’adulterazione, possono risultare non solo decisamente funeste ma anche incapaci di stabilire la propria legislazione in modo coerente: già oggi, appena all’inizio della “riforma Gelmini”, i brandelli della comunicazione si ricompongono in rompicapi capaci di destabilizzare non solo l’opinione che i cittadini hanno dell’università ma anche lo stesso organismo accademico. In tale contesto, un linguaggio deteriorato e (non raramente) persino sguaiato non è in grado di raggiungere il nucleo della sostanza dei problemi reali esistenti. Invece, il recupero della dimensione del confronto e del dialogo autentici e sereni, eleganti e leali possono persino restituire la speranza di riuscire a agire in una società che sappia non solo rispettare il passato e il presente ma anche proiettarsi nel futuro che racchiude l’armoniosa realizzazione degli ideali e dei sogni dei singoli, delle comunità, dei popoli. E «Riforma della scuola», con l’energia dell’impegno e della volontà di partecipazione, intende contribuire, insieme con molte altre voci, a immaginare e progettare questo futuro, incentivando dinamiche dialettiche nuove e innovative.

Bijoy M. Trentin