Intervista a Eugenia Lodini
A cura di Bijoy M. Trentin e Emanuela De Luca
La formazione dei futuri insegnanti è tema molto attuale, poiché dovrebbe anche essere approvato presto un decreto che ridisegnerà i percorsi universitari che consentiranno l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado. A questo decreto, purtroppo, non si accompagna ancora oggi una legislazione (efficace) relativa al reclutamento: sarà necessario, invece, individuare al piú presto le strade da percorrere per poter contemplare le ‘esigenze’ sia degli abilitati con il nuovo sistema previsto sia dei cosiddetti precari storici, secondo modalità e criteri validi su tutto il territorio nazionale, pur nel rispetto delle peculiarità e delle necessità locali. Nel dibattito si è fatto riferimento largamente al ruolo e allo ‘spazio’ del tirocinio: cosí abbiamo rivolto alcune domande su questo argomento a Eugenia Lodini (http://www.unibo.it/docenti/eugenia.lodini), Professore ordinario di Pedagogia sperimentale presso l’Università di Bologna. [B.M.T.]
Il tirocinio è ritenuto fondamentale nel processo di formazione dei futuri insegnanti: quali sono le sue peculiarità pedagogico-didattiche?
Sono fortemente convinta dell’importanza del tirocinio; tra l’altro nella formazione iniziale degli insegnanti – almeno dei maestri – è sempre stato presente il riferimento al tirocinio, anche se prima che diventasse un’esperienza universitaria esso era una sorta di “cenerentola”. Dal momento in cui la formazione è passata all’università, è aumentato il senso e il valore del tirocinio. Nei modelli di formazione iniziale, sia per la scuola dell’infanzia e primaria, sia per la scuola secondaria, il tirocinio è sempre stato l’anello di congiunzione fra l’università e la scuola, e questo è il suo ruolo importante, perché esso si tratta di una forma di apprendimento dall’esperienza diversa dal tipico apprendimento che avviene nei laboratori e nei corsi universitari. Focalizzare l’attenzione sull’apprendimento dall’esperienza è importantissimo, come altrettanto importante è che l’istituzione formativa rifletta su che cosa va appreso attraverso il tirocinio, che cosa attraverso i corsi e che cosa attraverso le attività laboratori ali. Esistono degli studi su questo, proprio per vedere quali sono i contenuti, le conoscenze e le abilità che si possono veicolare bene con il tirocinio. Vi sono poi due modelli sostanzialmente che si contrappongono: il modello del tirocinio come luogo o come esperienza in cui vai ad applicare le conoscenze teoriche che hai appreso, cioè “tutto quello che dovevo imparare l’ho imparato all’università e adesso vado a scuola e lo applico nella pratica”; l’altro è un modello che qui a Bologna abbiamo chiamato di “integrazione problematica” tra la formazione teorica e la pratica: vado a scuola, “raccolgo” una serie di conoscenze e di abilità tipiche che è fondamentale apprendere dall’esperienza e poi le riporto nel mio percorso formativo e, insieme, ho acquisito delle conoscenze nel mio percorso formativo e vedo come sono realizzate nella pratica. Questo tipo di modello non è di applicazione di quello che ho appreso ma di interazione di quello che viene appreso nella situazione della scuola e di quello che viene appreso all’università. Il tirocinio può essere, inoltre, diretto e indiretto: il tirocinio diretto è svolto nella scuola ed assegna un ruolo molto importante alla riflessione sull’esperienza e alla documentazione; il tirocinio indiretto, invece, si svolge all’interno dell’università, ma ritengo che parlare della scuola nell’università sia utile prima dell’esperienza, come momento preparatorio, e dopo, come momento di riflessione, ma resta imprescindibile il fatto che lo studente debba fare esperienza all’interno della scuola.
Infatti il tirocinio ha un’altra importante funzione di tipo pedagogico-didattico: di orientamento allo studente, che, quando va a fare il tirocinio, capisce effettivamente come va agìta la professione e quindi si rende conto se è una professione che nella sua realizzazione pratica corrisponde alle sue aspettative, ai suoi desideri, e se preferisce orientarsi verso la scuola primaria o dell’infanzia. Adesso le nuove proposte fanno pensare ad un corso di laurea con uno sbocco unificato, cioè formerà un insegnante che può insegnare sia nella scuola dell’infanzia che nella scuola elementare; allora a maggior ragione sarà importante che il tirocinio si svolga in entrambi gli ordini di scuola in modo che lo studente possa capire qual è lo scenario per cui si sta preparando.
Quali sono le caratteristiche del tirocinio attivato presso l’Università di Bologna?
Caratteristica importante dell’esperienza di tirocinio è [A] che si svolge sempre durante la formazione, questo è molto importante; esistono anche altri modelli di tirocinio e c’è stata anche un’epoca in cui si pensava che la formazione dell’insegnante avvenisse con quell’anno successivo alla conclusione dei corsi (come succede per il corso di laurea in Psicologia: prima ti laurei e poi fai l’esperienza di tirocinio); invece qui il modello su cui noi pedagogisti abbiamo insistito è quello del tirocinio durante proprio per quello che dicevamo prima, cioè per la possibilità di modulare gli obiettivi del tirocinio in relazione agli obiettivi dei corsi e dei laboratori, e anche per permettere l’ interazione tra la cultura della scuola e la cultura dell’università; [B] il passaggio progressivo da una semplice fase di osservazione all’attività di coinvolgimento; [C] altro elemento fondamentale del tirocinio è la presenza del supervisore; questa è stata una delle innovazioni, sia nelle SSIS che nel corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria, quella di prevedere il distacco all’università di insegnanti e di dirigenti scolastici, che si occupano in particolare di gestire questa esperienza. Complessivamente, a mio avviso, è stata un’esperienza molto positiva pur con notevoli difficoltà, perché il maestro che viene distaccato all’università è abituato a lavorare con dei bambini e, trovandosi a lavorare con dei giovani adulti, deve evitare di avere un atteggiamento di maternage e cercare di sviluppare un atteggiamento critico. Nel contempo, è anche un elemento molto importante perché è una figura che conosce dall’interno l’esperienza scolastica. Direi che questo è stato uno degli aspetti estremamente positivi del corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria come delle SSIS. [D] Altro aspetto importante: dal nostro punto di vista è sempre stato fondamentale apprendere dall’esperienza ma anche riflettere sulla propria esperienza di apprendimento. Quindi il tirocinio non è semplicemente una full immersion nella pratica, ma è un’attività in cui è fondamentale la riflessione sull’esperienza, che si può fare in vari modi; per esempio noi abbiamo molto insistito su strumenti specifici (il diario dell’esperienza, la documentazione dell’esperienza, la relazione sull’esperienza stessa) proprio come strumenti per fare riflettere e documentare quello che si è fatto. Siccome poi la documentazione è una delle pecche degli insegnanti, che non documentano abbastanza quello che fanno, cerchiamo anche di metterlo come obiettivo indiretto per abituare i futuri insegnanti a farne un elemento della loro professionalità. Inoltre, a Bologna abbiamo prodotto dei materiali scritti sull’esperienza del tirocinio, i supervisori hanno scritto dei libri sulla loro esperienza, sul sito della facoltà è presente tutta l’elencazione delle procedure del tirocinio, degli strumenti che sono utilizzati [http://www.scform.unibo.it/Scienze+della+Formazione/Didattica/Tirocini/sfp_tirocinio.htm].
Quali conformazioni strutturali ha avuto nel tempo l’organizzazione del tirocinio per la formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria?
Nelle SSIS – per quanto ne so io – è stato molto accentuato il ruolo di tirocinio attivo da parte dello studente che va e fa una sua parte di lezione o un piccolo segmento; invece in Scienze della Formazione Primaria abbiamo dato anche molta importanza alla fase dell’osservazione: essendo distribuito in quattro anni di corso, è un tirocinio che parte da una fase esclusivamente osservativa e arriva solo alla fine dei quattro anni a una fase in cui l’insegnante in formazione assume un ruolo attivo.
Sempre con lo stesso insegnante?
Assolutamente no; anzi, siccome il biennio è uguale per tutti, sia che poi uno nel secondo biennio scelga di fare Scuola dell’Infanzia sia che scelga Scuola Primaria, tendenzialmente nei primi due anni il tirocinio deve essere svolto in entrambi i due ordini di scuola, poi dopo nell’ordine che è stato scelto.
L’organizzazione attuale del tirocinio dovrebbe essere mantenuta oppure dovrebbe essere modificata? Come?
Migliorare si può sempre, però i punti centrali credo che vadano mantenuti (d’altra parte anche la bozza Israel va in questa direzione): tirocinio durante sicuramente, tirocinio nei vari ordini di scuola sicuramente, tirocinio con i supervisori altro elemento fondamentale; direi che questi aspetti vengono salvaguardati, perché personalmente ritengo che il tirocinio sia fondamentale nella formazione, ma il tirocinio senza la riflessione, senza la teoria è una pratica inutile perché è cieca, non è trasmissibile, non ha senso, il tirocinio deve essere l’occasione di fare quelle esperienze che sono topiche, che possono essere realizzate solo all’interno della pratica quotidiana. Per esempio, se io non mando uno studente ad assistere ad un collegio dei docenti, egli non capirà mai di che cosa si tratta leggendo la normativa, oppure non riuscirà a capire che cosa vogliono dire le relazioni tra pari, la presa delle decisioni; posso spiegarglielo, ma non è la stessa cosa. È una conoscenza situata, va appresa in questo modo. Dunque non enfatizziamo, ma la mia filosofia è: scegliamo che cosa è importante che si faccia nel tirocinio rispetto a che cosa è importante che si faccia nel laboratorio rispetto a che cosa è importante che si faccia in un corso, rispetto, infine, a che cosa è importante che si faccia nell’attività individuale dello studente.
A proposito di laboratori, in che cosa si differenziano questi dal tirocinio?
I laboratori sono presenti in vari corsi di laurea, (lo prevede anche la 270, anche nella SSIS) e sono una forma di tipo didattico caratterizzata da un numero limitato di studenti, attorno a una trentina, e hanno la funzione di passaggio dalla teoria alla pratica; vale a dire, sono delle situazioni in cui gli studenti si mettono alla prova nell’analisi, nella produzione di forme culturali o didattiche particolari; per esempio vi sono laboratori di area disciplinare, allora in questo caso sono di didattica della matematica piuttosto che di didattica di discipline linguistiche; poi vi sono i laboratori di tipo psico-socio-pedagogico, per esempio la metodologia del lavoro di gruppo, o la produzione di prove di valutazione o la letteratura per l’infanzia. Però non sono dei corsi di lezione, sono dei corsi in cui un conduttore con il suo gruppo a partire dall’analisi di una certa problematica fa fare un’esperienza diretta agli allievi. Il nucleo centrale del discorso è: il laboratorio è un corso in piccolo? Se la risposta è così è sbagliata. Il laboratorio è una diversa forma di mediatore didattico, quindi è qualcosa che richiede all’allievo di mettersi in prima persona a sperimentarsi in attività che può utilizzare anche nella sua esperienza di insegnante e, prima di arrivare alla sua esperienza di insegnante, nella sua esperienza di tirocinante. È una sorta di ponte: dal corso, che è teorico, al laboratorio, in cui la teoria si coniuga con l’esperienza didattica di ricostruire dei percorsi, al tirocinio, in cui questo può esser messo in pratica.
La nuova bozza di regolamento per la formazione iniziale degli insegnanti della scuola secondaria prevede (salvo prossime modificazioni) l’accesso, la frequenza e il superamento di un anno di Tirocinio Formativo Attivo. Leggendo la bozza si ha l’impressione che poco sia cambiato rispetto al funzionamento delle vecchie SSIS, cioè che vi sia solo un ridimensionamento temporale (probabilmente dovuto alla tendenza a “razionalizzare”): cosa ne pensa? Come ritiene che debba essere organizzata la formazione iniziale degli insegnanti della scuola secondaria?
TFA: è un terreno un po’ più delicato, perché, l’impressione di una semplice riduzione temporale, l’ho avuta anch’io; d’altra parte era stata aumentata di un anno la formazione precedente, quindi con il 3+2 gli anni sono diventati cinque, mentre prima erano quattro. Però il problema mi sembra un altro: nella proposta che è venuta fuori si ha un’impressione di non omogeneità; c’è, sì, un’accentuazione del discorso del tirocinio, però i corsi di scienze dell’educazione e quelli delle materie legate all’abilitazione sono molto separati, mentre nella costruzione del progetto di tirocinio si dovrebbero fondere. Anche prima nella SSIS, le attività di tirocinio erano più legate esclusivamente all’ambito disciplinare: i corsi di scienze dell’educazione erano fatti al primo anno e rimanevano staccati. Questo è un elemento che secondo me non va bene. Da questo punto di vista bisognerebbe istituire dei laboratori da cui scaturiscono i progetti di tirocinio in modo che si fondano le competenze di scienze dell’educazione e quelle delle singole discipline. Esempio: un conto è se io faccio lezione di docimologia e sulla valutazione, un conto è se poi devo andare a ragionare su “come fai la valutazione di questo progetto?”, la valutazione di questo progetto ha a che fare con i tipi di obiettivo, di attività per cui devi mettere in sinergia questo elemento. Poi c’è un altro fattore che è di tipo istituzionale ma che avrà la sua importanza: dove saranno situati questi TFA? Presso una Facoltà come la nostra di Scienze della Formazione o presso le singole facoltà? La SSIS aveva avuto il grande pregio culturale di dire “la formazione degli insegnanti è trasversale rispetto alle facoltà”.
Però ora si stanno ideando lauree magistrali all’interno delle singole facoltà…
Le magistrali sì, ma le magistrali specifiche in cui sono previsti insegnamenti di scienze dell’educazione non ancora. Vi è comunque una diminuzione dello spazio per le scienze dell’educazione tenendo conto sia delle magistrali che del TFA. Bisognerà fare uno sforzo per identificare dei nuovi modelli per questo tirocinio formativo attivo, che peraltro poteva già essere attivato quest’anno e non è stato attivato e che non verrà secondo me attivato nemmeno il prossimo anno perché il risparmio nella scuola si attua non solo con i tagli al personale, ma anche con il “blocco della produzione” di nuovi insegnanti.
C’è la possibilità di formare i formatori, in particolar modo quelli dell’area disciplinare, che naturalmente non provengono da percorsi pedagogico-didattici?
Quello della formazione dei docenti universitari, di quelli che fanno didattica universitaria è un tema abbastanza nuovo in Italia; però già qui a Bologna ci sono state delle ricerche in questa direzione, ad esempio da parte del Centro Interdipartimentale della Ricerca Educativa, che è uno dei punti cardine, che è anche l’istituzione da cui partì il discorso della formazione degli insegnanti e la SSIS. Sicuramente c’è un problema da questo punto di vista, però man mano si è formata una cultura per esempio attorno ai laboratori (tra poco uscirà un testo sui laboratori fatto dai nostri supervisori nella formazione dei corsi abilitanti speciali, formazione comunque iniziale degli insegnanti), come luogo-spazio di creazione di una cultura diversa, di una cultura del sapere e del saper fare. D’altra parte anche nel passato vi era l’idea del laboratorio (penso ai CEMEA per esempio, al Movimento di Cooperazione Educativa) finalizzato a creare delle esperienze educative. Se prevediamo all’interno del TFA una maggiore integrazione fra le scienze dell’educazione e le discipline nel progettare certi interventi, certe attività, penso che sia un vantaggio per tutti: le scienze dell’educazione hanno bisogno delle discipline per poter vedere come si applicano i propri principi nel contesto reale, ma l’applicazione richiede dei principi generali. Molto dipenderà dall’organizzazione, anche di spazi per fare sperimentazione di forme pedagogico-didattiche diverse, anche perché ci sono ambiti disciplinari che sono più avanti nella didattica disciplinare, altri più indietro.
Maggio 2010