Mentre il disegno di legge Gelmini di riforma dell’università attende che si sfoltisca la coda legislativa creata da questioni di vitale importanza e di estrema urgenza per il nostro paese (quali la legge sulle intercettazioni…), cerchiamo di conoscere meglio, dall’interno, il mondo dell’università e della ricerca. Abbiamo, perciò, ascoltato il parere del dr. Paolo Tieri, ricercatore presso il laboratorio di Immunologia del Centro Interdipartimentale “L. Galvani” dell’Università di Bologna. Una testimonianza, accorata e appassionata, che disegna un quadro attuale estremamente negativo e capace di subire ulteriori danni nel prossimo futuro.
Che tipo di ricerche svolge il Suo gruppo di ricerca? E lei in particolare? Quali applicazioni pratiche trovano le Vostre ricerche?
Il laboratorio di Immunologia diretto dal Prof. Claudio Franceschi si occupa di invecchiamento umano e longevità da un punto di vista principalmente immunologico e genetico. In particolare si studiano individui centenari e ultracentenari, che rappresentano appunto un modello di "buon invecchiamento". Il laboratorio è a capo e partecipa a diversi grandi progetti di ricerca europei, tra cui il progetto GEHA, acronimo che sta per 'genetica dell'invecchiamento in salute'. Io mi occupo di modellizzazione e analisi del sistema immunitario: in parole semplici, il funzionamento del sistema immunitario si basa sulla 'cooperazione' di organi e di miriadi di cellule e proteine, che lavorano in maniera coordinata e incredibilmente complessa per proteggere l'organismo da attacchi esterni e riparare i danni che esso subisce nel normale corso della vita. In pratica cerco di 'ricostruire', utilizzando anche metodi matematici e simulazioni al computer, la struttura e il funzionamento del sistema immunitario per avere predizioni del suo comportamento, da verificare poi sperimentalmente. Se la predizione è giusta, allora si è aggiunto un altro tassello alla comprensione del funzionamento del sistema nel suo complesso. Le applicazioni pratiche della conoscenza della biologia umana - e delle dinamiche dell'invecchiamento nel nostro particolare caso - sono, direi, lapalissiane: in ultima analisi, l'obiettivo è una medicina (e/o farmacologia) preventiva e personalizzata, molto più mirata, efficace e meno invadente di quella odierna. Per arrivare, però, dalle scoperte della ricerca di base all'applicazione clinica ci vuole molto tempo: gli investimenti nella ricerca fatti oggi si vedranno, forse, tra dieci, quindici anni... cosa che non deve spaventare: eravamo negli ani Sessanta quando nacque la prima rete di computer intercomunicanti, e nessuno immaginava Internet com'è attualmente...
Voi ricercatori, oltre a svolgere il lavoro di ricerca, avete incarichi didattici?
Sì. A parte i due ricercatori a tempo indeterminato (che sono solo due su venticinque...) che lo fanno 'istituzionalmente', qui da noi più o meno tutti tengono corsi, minicorsi, lezioni e seminari agli studenti di diversi corsi di laurea e di master. Attività non retribuita: nessuno riceve un euro in più rispetto al proprio assegno di ricerca, borsa di studio o normale stipendio da ricercatore.
Quali sono, allo stato attuale, i problemi e le criticità nel vostro settore di ricerca che andrebbero risolte in via prioritaria?
Io individuo principalmente tre temi, strettamente interconnessi e comuni alla ricerca scientifica italiana, non solo al nostro settore: la totale mancanza di prospettive per chi fa scienza, la cronica scarsezza di fondi e l'imbarazzante età media di chi insegna e fa ricerca all'università. Nessuno che voglia intraprendere questo mestiere in Italia può dire dove sarà e cosa starà facendo fra cinque-dieci anni. Diventare ricercatore a tempo indeterminato oggi è un'impresa titanica, un'assunzione che normalmente arriva molto raramente, dopo aver resistito per almeno una decina di anni con contratti precari. I contratti a termine (assegni di ricerca e ex co.co.co) a loro volta dipendono in toto dalla volontà e dalla disponibilità di fondi del professore che vuole assumerti. I fondi di ricerca provengono in maggioranza da progetti europei, sui quali il ricercatore precario non ha nessun controllo. Non c'è praticamente controllo sulla qualità della ricerca fatta, quindi chiunque detenga il potere di assumere personale di ricerca non deve rispondere a nessuno della sua produttività scientifica, con le ovvie storture che questo sistema porta. È una situazione disastrosa, che allontana i migliori dalla ricerca universitaria italiana, perché in questo modo non possono avere nessun controllo sulla propria carriera e sulla propria vita. Forse sono eccessivamente catastrofista, ma in questo desolante panorama, senza un drastico cambiamento, dettato da una volontà politica cosciente, sapiente e decisa, andiamo incontro a un vero e proprio termine della ricerca 'made in Italy'.
Come crede si possano risolvere le criticità da Lei evidenziate nel campo della ricerca scientifica?
Credo che la ricetta per tentare di salvare la scienza italiana sia tanto semplice nelle scelte da fare quanto difficile nel portarle realmente avanti, alle prese con potentati, baronati, gerontocrazie e burocrazie che gestiscono questo paese. Bisogna che chi 'comanda', chi gestisce un ministero, capisca cosa vuol dire fare ricerca, una grandiosa e difficile impresa a lungo, lunghissimo termine, gestita da menti appassionate, brillanti e capaci di immaginazione. Bisogna che i fondi e gli investimenti dedicati aumentino almeno ai livelli di Germania, Francia, Inghilterra, Scandinavia (per non nominare gli USA o il Giappone...). Bisogna, ancora, che questi fondi siano gestiti in modo trasparente su base esclusivamente meritocratica, senza la mediazione di niente altro che di una agenzia per la ricerca che sia rigorosa e totalmente indipendente dalla politica, troppo intrecciata agli interessi di pochi. Infine bisogna che i passi della carriera di un ricercatore siano precisi e scadenzati, e legati esclusivamente alla sua capacità di fare vera scienza, fuori dalle dinamiche malate che oggi stroncano anche le più ferree volontà.
Gli ultimi interventi legislativi, e, in particolare, la proposta di riforma del ministro Gelmini, vanno in questa direzione? Cercano di dare risposta a queste necessità?
Nessuna delle cosiddette riforme universitarie presentate fino a ora, compresa ovviamente quella della Gelmini, rispondono minimamente a queste necessità. Sono maquillage, aggiustamenti di facciata, sono sbagliati e inefficaci, fatti cadere dall'alto senza sapere bene cosa si sta facendo, senza ascoltare le parti in gioco, senza sentire il parere di chi la ricerca la fa, con fatica e passione. Ma c'è di più: tra Finanziaria e legge Gelmini c'è in atto un vero e proprio tentativo di destrutturare e distruggere l'università statale. Come leggere le riduzioni drammatiche del Fondo di Finanziamento Ordinario delle Università? E la fortissima limitazione del turn-over delle assunzioni per (almeno) un quadriennio? E il prolungamento e l'istituzione di nuove figure di ricerca precarie? Mettiamoci dentro anche il disegno 'autoritario' di governo dell'università, e tutto ciò non può che apparire come una riforma 'contro', e non dell'università, un attacco all'istituzione università in quanto luogo di "libera azione di libere menti" (V. Bush). Nessuno può permettersi il lusso di rimanere inerte a guardare questa desolazione.
Emanuela De Luca
domenica 8 agosto 2010
Ancora sul DDL Gelmini. A colloquio con gli studenti.
I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi,
hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto
con borse di studio, assegni alle famiglie
ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Costituzione della Repubblica Italiana, art. 34
Del resto, mia cara, di che si stupisce,
anche l’operaio vuole il figlio dottore
e pensi che ambiente ne può venir fuori,
non c’è più morale, contessa…P. Pietrangeli, Contessa
I provvedimenti più discussi contenuti nel DDL Gelmini riguardano, come abbiamo messo in luce nella scorsa intervista [http://rdsuniversita.blogspot.com/2010/06/la-protesta-dei-ricercatori.html], principalmente i ricercatori. Ma la nostra attenzione è caduta su un’altra norma contenuta nella bozza del disegno di legge: l’art. 4 “Fondo per il merito” per mezzo del quale “è istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze un Fondo speciale per il merito finalizzato a promuovere l’eccellenza e il merito fra gli studenti mediante prove nazionali standard (comma 1)”. Si tratta di un intervento riguardante il diritto allo studio; difatti “il Fondo è destinato a: a) erogare borse di studio da utilizzare per il pagamento di tasse e contributi universitari, nonché per la copertura delle spese di mantenimento durante gli studi; b) fornire buoni studio […] che prevedano una quota da restituire al termine degli studi […]; c) garantire prestiti d’onore […]” (comma 1). “Il Ministro, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze […] con propri decreti disciplina i criteri e le modalità di attuazione del presente articolo ed in particolare a) i criteri d’accesso alle prove nazionali standard; b) i criteri e le modalità di attribuzione delle borse e dei buoni di accesso ai finanziamenti garantiti; […] e) i requisiti di merito che gli studenti devono rispettare nel corso degli studi per mantenere il diritto a borse, buoni e finanziamenti garantiti; f) le modalità di utilizzo di borse, buoni e finanziamenti garantiti; […] i) le modalità di svolgimento delle prove nazionali standard” (comma 2). Sebbene il Fondo venga istituito presso il Ministero dell’economia e i criteri di funzionamento vengano disciplinati dal MIUR, “la gestione del Fondo, dei rapporti amministrativi con università e studenti è affidata a Consap s.p.a.” (comma 3) e “gli oneri di gestione e le spese di funzionamento degli interventi relativi al Fondo sono a carico delle risorse finanziare del fondo stesso” (comma 4). Ma chi eroga i finanziamenti per questo fondo? La risposta (vaga) negli articoli successivi: “Il Ministero dell’economia e delle finanze, con propri decreti, determina, secondo criteri di mercato, il corrispettivo per la garanzia dello Stato, da imputare ai finanziamenti erogati” (comma 5); “il Fondo speciale è alimentato con versamenti effettuati a titolo spontaneo e solidale effettuato da privati, società, enti e fondazioni, anche vincolati, nel rispetto delle finalità del fondo, a specifici usi, nonché con eventuali trasferimenti pubblici previsti da specifiche disposizioni” (comma 6); “il Ministero, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, promuove anche con apposite convenzioni, il concorso dei privati e disciplina con proprio decreto le modalità cui i soggetti donatori possono partecipare allo sviluppo del Fondo, anche costituendo, senza oneri per la finanza pubblica, un comitato consultivo” (comma 7). Nella bozza di decreto restano vaghi e dubbi molti aspetti, ad esempio la tipologia dei test nazionali, i finanziamenti su cui contare e dunque la quantità delle borse erogate.
Abbiamo chiesto, pertanto, un parere in generale sul DDL e in particolare sull’art. 4 ad Angelo Rinaldi, studente di Filosofia presso l’Ateneo bolognese e rappresentante degli studenti facente parte del “Sindacato degli Universitari”.
Le proteste più rumorose contro il DDL Gelmini sono state, finora, quelle dei ricercatori e di alcuni rettori. Le rappresentanze studentesche nazionali, invece, hanno espresso un parere in merito? Come hanno accolto questa proposta di riforma?
A livello nazionale le rappresentanze studentesche hanno espresso il loro parere su questo DDL; l’UDU (Unione degli Universitari) sia attraverso i forum istituzionali del Ministero sia attraverso il CNSU (Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari) ha posto un veto, ha detto “si parli di riforma ma si parli con gli studenti e non si chieda loro semplicemente una ratifica di ciò che è stato già deciso, e soprattutto si mettano in discussione i tagli”. Su questo l’UDU è stata molto netta e rigida: bisogna sfatare il mito per cui si può riformare l’università a costo zero. Un comportamento diverso abbiamo avuto dal CLDS (Coordinamento Liste Diritto allo Studio), che ha fondamentalmente ratificato già la legge 133 e ha chiesto dei piccoli compensativi sul diritto allo studio – che tra l’altro la Gelmini ha dato subito dopo il periodo dell’Onda, quindi come contentino per mettere a tacere quell’enorme protesta, cioè sono state concessioni frutto di una contingenza e non contrattazioni dirette del CLDS.
Esaminiamo la norma che riguarda più da vicino gli studenti, cioè l’istituzione del Fondo per il merito. Prima, però, può illustrarci l’attuale organizzazione del sostegno al diritto allo studio, i suoi punti forti e le criticità.
Attualmente il sostegno al diritto allo studio è gestito principalmente dalle Aziende regionali per il diritto allo studio universitario, che con i fondi provenienti per lo più dalle Regioni, finanziano le borse di studio. L’erogazione delle borse si basa su questo principio: se il nucleo familiare di cui fa parte lo studente rientra in determinati parametri economici, può fare domanda di borsa di studio (o usufruire di fasce di contribuzione ridotta, a seconda sempre dei parametri economici) presso l’università a cui è iscritto e, rimanendo immutate tali condizioni, lo studente usufruisce della borsa a patto che, ovviamente, alla fine di ogni anno riesca ad acquisire un certo numero di crediti formativi. Inoltre è previsto, almeno in Emilia Romagna, un certo numero di borse di studio per solo merito, erogato indipendentemente dai requisiti economici dello studente. Il punto di forza di questo sistema è proprio il fatto di considerare prioritaria la condizione sociale di partenza dello studente e di basarsi su quella per sostenere il suo diritto a studiare. Un difetto, a parer mio, è che questo sistema non tiene conto dell’andamento complessivo, cioè tiene conto, sì, dei crediti formativi, ma questi possono essere di qualsiasi tipologia, possono essere conseguiti con qualsiasi voto, e sono concepiti talvolta con un sistema molto rigido, cioè sono gli stessi sia per lo studente che studia e basta, sia per chi fa l’Erasmus, sia per chi lavora, sia per chi fa un’esperienza di tirocinio. Non è una cosa drammatica, certo, però da questo punto di vista si potrebbero creare percorsi più flessibili, diversificati a seconda della tipologia dello studente. Altro difetto è che si eroga il contributo non allo studente per il proprio percorso formativo, ma al suo nucleo familiare perché lo studente possa avere un percorso formativo; in tal modo non si prevede che proprio quei nuclei più disagiati chiedono un contributo maggiore allo studente. Infine difficilmente tutti gli studenti idonei ad usufruire della borsa di studio riescono ad essere anche assegnatari, poiché i finanziamenti non riescono sempre a coprire tutto il numero delle borse.
L’istituzione del Fondo per il merito come si inserisce in questo quadro? Risolve i problemi e le carenze dell’attuale sistema di diritto allo studio?
Assolutamente no, anzi, costituisce un passo indietro rispetto al diritto allo studio. Innanzitutto perché è un provvedimento che fa parte di una riforma che dovrà esser fatta a costo zero; a ciò si aggiunge il fatto che la riforma è preceduta e accompagnata da tagli, prima quelli della legge 133/2008 e poi da ultimo la manovra finanziaria, che taglia indiscriminatamente anche i fondi alle Regioni. Inoltre noi, come Sindacato degli Universitari, riteniamo che proprio il principio che sta alla base del Fondo per il merito sia sbagliato. La logica è questa: il Ministero eroga la borsa allo studente a prescindere dalla sua provenienza regionale, dall’appartenenza a un sistema di diritto allo studio (in quanto il fondo per il merito è su base nazionale) perché ha dei requisiti considerati meritori. Una volta ottenuta la borsa, lo studente va a scegliersi l’università che ritiene migliore. In sostanza è un’idea abbastanza malata di libero mercato del sapere. Dov’è che non funziona poi questa logica? Nel momento in cui si va a fare il test nazionale delle borse di merito, con un quizzone a crocette, quasi fosse l’esame per la patente, non il diritto allo studio. Altro problema: siccome il prelievo fiscale avverrà sulle borse di studio, per più anni il Ministero attribuisce borse di merito e per più anni le conferma agli studenti che le hanno già prese, meno soldi passa alle Regioni per il diritto allo studio. E quindi meno soldi le Regioni sono vincolate a metterci perché c’è il vincolo che se, ad esempio, il Ministero eroga un euro, la Regione deve mettercene un altro. Quindi tagliando un euro se ne tagliano due. La nostra paura qual è? È che si vada a togliere il diritto allo studio come welfare, come diritto sancito costituzionalmente, e lo si vada a trasformare in un incentivo premiante basato su criteri di merito che sono tutt’altro che discutibili. La meritocrazia intesa in questo modo porta alla scelta di coloro che magari provengono da un tessuto sociale migliore ed hanno possibilità economiche maggiori, quindi si va a selezionare il più forte socialmente, si va a rimarcare una gerarchia economica. Tutt’altro che studio inteso come mezzo di progressione sociale. L’Università invece, essendo un’istituzione formativa, deve avere la serietà e il coraggio di dare i mezzi prioritariamente a chi non li possiede, a chi economicamente non ce la fa (a patto sempre che rispetti e rientri nei parametri economici e di crediti conseguiti), soprattutto in questo periodo. Invece si istituzionalizza un principio esattamente opposto.
In generale, al di là dell’art. 4, qual è il vostro parere sul DDL Gelmini?
Secondo noi, sulla governance contiene un principio condivisibile: il fatto che il CDA e il Senato accademico debbano avere competenze nette e diverse. Per il resto, questo è un testo non discutibile, ma proprio irricevibile perché intende riformare l’università senza investire neanche un soldo. Se davvero si vuole parlare di riforma dell’università, allora, secondo noi, bisogna prendere in considerazione questi punti: diritto allo studio, qualità della didattica (che non dovrebbe essere semplicemente riproduttiva, soprattutto nelle facoltà umanistiche, e non dovrebbe basarsi solo sulla quantità degli studenti laureati), governance migliore, responsabilità (non si possono aprire le sedi universitarie come i funghi). Se la riforma deve servire solo a fare cassa, allora no, non si discute neanche. Per questo le ultime normative sono irricevibili, perché noi vogliamo parlare di università come istituzione formativa, il governo, invece, di esigenze di bilancio spacciandole per riforma.
Emanuela De Luca
hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto
con borse di studio, assegni alle famiglie
ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Costituzione della Repubblica Italiana, art. 34
Del resto, mia cara, di che si stupisce,
anche l’operaio vuole il figlio dottore
e pensi che ambiente ne può venir fuori,
non c’è più morale, contessa…P. Pietrangeli, Contessa
I provvedimenti più discussi contenuti nel DDL Gelmini riguardano, come abbiamo messo in luce nella scorsa intervista [http://rdsuniversita.blogspot.com/2010/06/la-protesta-dei-ricercatori.html], principalmente i ricercatori. Ma la nostra attenzione è caduta su un’altra norma contenuta nella bozza del disegno di legge: l’art. 4 “Fondo per il merito” per mezzo del quale “è istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze un Fondo speciale per il merito finalizzato a promuovere l’eccellenza e il merito fra gli studenti mediante prove nazionali standard (comma 1)”. Si tratta di un intervento riguardante il diritto allo studio; difatti “il Fondo è destinato a: a) erogare borse di studio da utilizzare per il pagamento di tasse e contributi universitari, nonché per la copertura delle spese di mantenimento durante gli studi; b) fornire buoni studio […] che prevedano una quota da restituire al termine degli studi […]; c) garantire prestiti d’onore […]” (comma 1). “Il Ministro, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze […] con propri decreti disciplina i criteri e le modalità di attuazione del presente articolo ed in particolare a) i criteri d’accesso alle prove nazionali standard; b) i criteri e le modalità di attribuzione delle borse e dei buoni di accesso ai finanziamenti garantiti; […] e) i requisiti di merito che gli studenti devono rispettare nel corso degli studi per mantenere il diritto a borse, buoni e finanziamenti garantiti; f) le modalità di utilizzo di borse, buoni e finanziamenti garantiti; […] i) le modalità di svolgimento delle prove nazionali standard” (comma 2). Sebbene il Fondo venga istituito presso il Ministero dell’economia e i criteri di funzionamento vengano disciplinati dal MIUR, “la gestione del Fondo, dei rapporti amministrativi con università e studenti è affidata a Consap s.p.a.” (comma 3) e “gli oneri di gestione e le spese di funzionamento degli interventi relativi al Fondo sono a carico delle risorse finanziare del fondo stesso” (comma 4). Ma chi eroga i finanziamenti per questo fondo? La risposta (vaga) negli articoli successivi: “Il Ministero dell’economia e delle finanze, con propri decreti, determina, secondo criteri di mercato, il corrispettivo per la garanzia dello Stato, da imputare ai finanziamenti erogati” (comma 5); “il Fondo speciale è alimentato con versamenti effettuati a titolo spontaneo e solidale effettuato da privati, società, enti e fondazioni, anche vincolati, nel rispetto delle finalità del fondo, a specifici usi, nonché con eventuali trasferimenti pubblici previsti da specifiche disposizioni” (comma 6); “il Ministero, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, promuove anche con apposite convenzioni, il concorso dei privati e disciplina con proprio decreto le modalità cui i soggetti donatori possono partecipare allo sviluppo del Fondo, anche costituendo, senza oneri per la finanza pubblica, un comitato consultivo” (comma 7). Nella bozza di decreto restano vaghi e dubbi molti aspetti, ad esempio la tipologia dei test nazionali, i finanziamenti su cui contare e dunque la quantità delle borse erogate.
Abbiamo chiesto, pertanto, un parere in generale sul DDL e in particolare sull’art. 4 ad Angelo Rinaldi, studente di Filosofia presso l’Ateneo bolognese e rappresentante degli studenti facente parte del “Sindacato degli Universitari”.
Le proteste più rumorose contro il DDL Gelmini sono state, finora, quelle dei ricercatori e di alcuni rettori. Le rappresentanze studentesche nazionali, invece, hanno espresso un parere in merito? Come hanno accolto questa proposta di riforma?
A livello nazionale le rappresentanze studentesche hanno espresso il loro parere su questo DDL; l’UDU (Unione degli Universitari) sia attraverso i forum istituzionali del Ministero sia attraverso il CNSU (Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari) ha posto un veto, ha detto “si parli di riforma ma si parli con gli studenti e non si chieda loro semplicemente una ratifica di ciò che è stato già deciso, e soprattutto si mettano in discussione i tagli”. Su questo l’UDU è stata molto netta e rigida: bisogna sfatare il mito per cui si può riformare l’università a costo zero. Un comportamento diverso abbiamo avuto dal CLDS (Coordinamento Liste Diritto allo Studio), che ha fondamentalmente ratificato già la legge 133 e ha chiesto dei piccoli compensativi sul diritto allo studio – che tra l’altro la Gelmini ha dato subito dopo il periodo dell’Onda, quindi come contentino per mettere a tacere quell’enorme protesta, cioè sono state concessioni frutto di una contingenza e non contrattazioni dirette del CLDS.
Esaminiamo la norma che riguarda più da vicino gli studenti, cioè l’istituzione del Fondo per il merito. Prima, però, può illustrarci l’attuale organizzazione del sostegno al diritto allo studio, i suoi punti forti e le criticità.
Attualmente il sostegno al diritto allo studio è gestito principalmente dalle Aziende regionali per il diritto allo studio universitario, che con i fondi provenienti per lo più dalle Regioni, finanziano le borse di studio. L’erogazione delle borse si basa su questo principio: se il nucleo familiare di cui fa parte lo studente rientra in determinati parametri economici, può fare domanda di borsa di studio (o usufruire di fasce di contribuzione ridotta, a seconda sempre dei parametri economici) presso l’università a cui è iscritto e, rimanendo immutate tali condizioni, lo studente usufruisce della borsa a patto che, ovviamente, alla fine di ogni anno riesca ad acquisire un certo numero di crediti formativi. Inoltre è previsto, almeno in Emilia Romagna, un certo numero di borse di studio per solo merito, erogato indipendentemente dai requisiti economici dello studente. Il punto di forza di questo sistema è proprio il fatto di considerare prioritaria la condizione sociale di partenza dello studente e di basarsi su quella per sostenere il suo diritto a studiare. Un difetto, a parer mio, è che questo sistema non tiene conto dell’andamento complessivo, cioè tiene conto, sì, dei crediti formativi, ma questi possono essere di qualsiasi tipologia, possono essere conseguiti con qualsiasi voto, e sono concepiti talvolta con un sistema molto rigido, cioè sono gli stessi sia per lo studente che studia e basta, sia per chi fa l’Erasmus, sia per chi lavora, sia per chi fa un’esperienza di tirocinio. Non è una cosa drammatica, certo, però da questo punto di vista si potrebbero creare percorsi più flessibili, diversificati a seconda della tipologia dello studente. Altro difetto è che si eroga il contributo non allo studente per il proprio percorso formativo, ma al suo nucleo familiare perché lo studente possa avere un percorso formativo; in tal modo non si prevede che proprio quei nuclei più disagiati chiedono un contributo maggiore allo studente. Infine difficilmente tutti gli studenti idonei ad usufruire della borsa di studio riescono ad essere anche assegnatari, poiché i finanziamenti non riescono sempre a coprire tutto il numero delle borse.
L’istituzione del Fondo per il merito come si inserisce in questo quadro? Risolve i problemi e le carenze dell’attuale sistema di diritto allo studio?
Assolutamente no, anzi, costituisce un passo indietro rispetto al diritto allo studio. Innanzitutto perché è un provvedimento che fa parte di una riforma che dovrà esser fatta a costo zero; a ciò si aggiunge il fatto che la riforma è preceduta e accompagnata da tagli, prima quelli della legge 133/2008 e poi da ultimo la manovra finanziaria, che taglia indiscriminatamente anche i fondi alle Regioni. Inoltre noi, come Sindacato degli Universitari, riteniamo che proprio il principio che sta alla base del Fondo per il merito sia sbagliato. La logica è questa: il Ministero eroga la borsa allo studente a prescindere dalla sua provenienza regionale, dall’appartenenza a un sistema di diritto allo studio (in quanto il fondo per il merito è su base nazionale) perché ha dei requisiti considerati meritori. Una volta ottenuta la borsa, lo studente va a scegliersi l’università che ritiene migliore. In sostanza è un’idea abbastanza malata di libero mercato del sapere. Dov’è che non funziona poi questa logica? Nel momento in cui si va a fare il test nazionale delle borse di merito, con un quizzone a crocette, quasi fosse l’esame per la patente, non il diritto allo studio. Altro problema: siccome il prelievo fiscale avverrà sulle borse di studio, per più anni il Ministero attribuisce borse di merito e per più anni le conferma agli studenti che le hanno già prese, meno soldi passa alle Regioni per il diritto allo studio. E quindi meno soldi le Regioni sono vincolate a metterci perché c’è il vincolo che se, ad esempio, il Ministero eroga un euro, la Regione deve mettercene un altro. Quindi tagliando un euro se ne tagliano due. La nostra paura qual è? È che si vada a togliere il diritto allo studio come welfare, come diritto sancito costituzionalmente, e lo si vada a trasformare in un incentivo premiante basato su criteri di merito che sono tutt’altro che discutibili. La meritocrazia intesa in questo modo porta alla scelta di coloro che magari provengono da un tessuto sociale migliore ed hanno possibilità economiche maggiori, quindi si va a selezionare il più forte socialmente, si va a rimarcare una gerarchia economica. Tutt’altro che studio inteso come mezzo di progressione sociale. L’Università invece, essendo un’istituzione formativa, deve avere la serietà e il coraggio di dare i mezzi prioritariamente a chi non li possiede, a chi economicamente non ce la fa (a patto sempre che rispetti e rientri nei parametri economici e di crediti conseguiti), soprattutto in questo periodo. Invece si istituzionalizza un principio esattamente opposto.
In generale, al di là dell’art. 4, qual è il vostro parere sul DDL Gelmini?
Secondo noi, sulla governance contiene un principio condivisibile: il fatto che il CDA e il Senato accademico debbano avere competenze nette e diverse. Per il resto, questo è un testo non discutibile, ma proprio irricevibile perché intende riformare l’università senza investire neanche un soldo. Se davvero si vuole parlare di riforma dell’università, allora, secondo noi, bisogna prendere in considerazione questi punti: diritto allo studio, qualità della didattica (che non dovrebbe essere semplicemente riproduttiva, soprattutto nelle facoltà umanistiche, e non dovrebbe basarsi solo sulla quantità degli studenti laureati), governance migliore, responsabilità (non si possono aprire le sedi universitarie come i funghi). Se la riforma deve servire solo a fare cassa, allora no, non si discute neanche. Per questo le ultime normative sono irricevibili, perché noi vogliamo parlare di università come istituzione formativa, il governo, invece, di esigenze di bilancio spacciandole per riforma.
Emanuela De Luca
domenica 1 agosto 2010
La discussione pubblica del DdL Gelmini.
Emanuela De Luca
In queste settimane di fermento all’interno delle università italiane continuano a prodursi occasioni di dibattito e critica pubblica sul DDL Gelmini di riforma dell’università. Così a Bologna, dove lo scorso 28 giugno, si è svolta una assemblea pubblica su questo tema organizzata dalla Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL di Bologna presso l’Aula Magna di Scienze Statistiche.
Sono intervenuti Manuela Ghizzoni (capogruppo del Partito Democratico alla Commissione Istruzione e Cultura della Camera dei Deputati), il prof. Ivano Dionigi (Magnifico Rettore dell’Università di Bologna), Patrizio Bianchi (Assessore Regionale Scuola, Formazione, Università, Lavoro) e Sandra Soster (Segretaria Generale FFLC CGIL Bologna). Soster ha iniziato col fornire un quadro generale della situazione in cui si trova l’università italiana alla luce dei provvedimenti normativi degli ultimi due anni. Ripercorrendo le tappe normative più recenti che hanno preceduto il DDL Gelmini (in particolare il DDL 112/2008 poi diventato legge 133/2008) e l’ultima manovra finanziaria, ha sottolineato come, da una parte, l’opinione pubblica e tutto il mondo del lavoro siano sensibili ai tagli sulla ricerca e sui giovani, puntando il dito contro gli enti locali e le forze di opposizione che – a suo parere – hanno avuto una reazione forte e decisa solo da ultimo. Con il disegno di riforma dell’università e con la recente manovra finanziaria – ha affermato Soster – « il merito viene archiviato come una categoria dello spirito, tutti sono ugualmente colpiti, alcuni più degli altri, ossia gli assegnisti e i docenti a contratto, spazzati via come stracci al vento anche se sono stati parte attiva nella produzione dei successi nella didattica, nella ricerca, nella gestione oculata degli atenei; e poi gli studenti e la qualità dei corsi e servizi loro offerti, della prospettiva dell’aumento delle tasse; sono i giovani e i meno giovani che non riusciranno ad entrare più e a garantire all’università il ricambio generazionale». Individuati questi nodi centrali, l’esponente CCGIL ha chiesto alle forze di opposizione e agli amministratori azioni convergenti verso due obiettivi: render bravi molti e finanziare ricerca e formazione. La parola è passata quindi all’onorevole Ghizzoni, la quale iniziando dal “percorso accidentato del disegno di legge” ha ricordato come «questo disegno di legge è stato più volte annunciato nel corso dell’anno scorso, la ministra si prese più di sei mesi dal momento in cui lo annunciò in pompa magna con un seminario (a cui le forze di opposizione non vennero peraltro invitate, ma vennero invitati soltanto alcuni rettori) e finalmente in ottobre lo depositò. Ad oggi ancora il progetto non è approdato in aula, non certo – come sostiene la ministra – per i ritardi dovuti ai farraginosi regolamenti del Senato, che in realtà non sono altro che tutele delle procedure democratiche. Il DDL, che ormai da un mese ha chiuso il proprio iter in Commissione Senato, non è approdato in aula perché molte cose sono state valutate prioritarie rispetto a questo disegno di legge, tra queste il decreto sulle intercettazioni, che è stato inserito con procedura d’urgenza in aula».
Manovra finanziaria permettendo, il disegno sulla riforma universitaria dovrebbe approdare in aula intorno alla metà di luglio. Quanto alla posizione del Partito Democratico, l’onorevole Ghizzoni ha ribadito con forza il fermo no e l’opposizione decisa che il suo partito ha già fatto in commissione Senato e farà nel momento in cui il DDL arriverà alla Camera, dove probabilmente si ripartirà quasi da zero in quanto il testo non è più quello licenziato dalla Gelmini.
L’onorevole ha aggiunto: «Questo ddl ha la stessa matrice dei provvedimenti sulla scuola. Questo governo procede a ridisegnare la società – democratica, uscita dalla costituzione – in modo regressivo, reazionario e lo fa intervenendo pesantemente sul sistema della conoscenza».
Nel suo intervento, il Magnifico Rettore dell’ateneo bolognese Ivano Dionigi, pur premettendo che l’80% dei principi del DDL possono essere condivisi e che le università con i propri statuti potranno agire in piena autonomia, ha rilevato tuttavia la situazione di tagli e di “cifre ballerine” che impediscono di elaborare un piano pluriennale certo. Questa situazione di incertezza – ha afferma– è aggravata dal contesto di credibilità pari a zero dei docenti e del personale accademico. Pertanto invita i docenti a fare una severa autocritica, in particolare sulla proliferazione di corsi in seguito alla riforma del 3+2, sulla improduttività scientifica di alcuni docenti e ricercatori, sui “docenti fantasma”, sui concorsi in cui a volte la selezione è “al rovescio”. Quanto alla situazione dei ricercatori – che viene definita “patologica” – il Rettore, ribadendo la posizione di solidarietà e sostegno assunta di recente dal Senato accademico, ha sostenuto che si debba innanzitutto moralizzare l’uso di queste risorse, che i posti flessibili si debbano relazionare alle assunzioni programmate e afferma che entro la fine dell’anno verranno banditi altri 22 concorsi.
Altro punto critico del decreto, secondo il Rettore Dionigi, è la totale mancanza di sostegno al diritto allo studio. Tuttavia, a fronte di altri atenei che hanno già programmato per il prossimo anno accademico un aumento cospicuo delle tasse universitarie e una diminuzione di finanziamenti per il diritto allo studio, il rettore ha informato che gli studenti di Bologna non pagheranno un euro in più di tasse e che non è stato loro tolto nulla dai sussidi al diritto allo studio.
L’Assessore regionale alla Scuola e Università Patrizio Bianchi, – ammettendo che la riforma universitaria del 2000 è stata un’occasione mancata di trasformazione dell’università dall’interno – ha condiviso il dissenso nei confronti di quella che ha chiamato “riforma Tremontini”.
Quanto alla situazione specifica dell’Emilia Romagna, ha proposto la riapertura della conferenza Regione-università – sottolineando come la piattaforma universitaria che va da Piacenza a Rimini debba ottimizzare le risorse al meglio e questo voglia dire «verificare l’offerta didattica, verificare le competenze esistenti, il funzionamento delle strutture di ricerca», e ha suggerito ai rettori di proporre degli accordi diretti col Ministero.
A margine degli interventi degli ospiti, alcuni dei presenti tra il pubblico hanno aggiunto osservazioni, dubbi e proposte. Tra questi, il prof. Leonardo Altieri (docente del dipartimento di Sociologia) ha notato, oltre l’estrema gravità dei tagli e il problema del precariato dei ricercatori, la mancanza assoluta di coerenza tra i principi della qualità della didattica e della meritocrazia affermati dal DDL e quella che dovrebbe essere la messa in pratica di questi principi.
Michele Filippini (della Rete Ricercatori Precari di Bologna), di fronte all’importanza e al ruolo indispensabile degli assegnisti e dei docenti a contratto, che sono un “pezzo di produzione del merito di questa università”, ha chiesto al rettore un tavolo di trattative grazie al quale si possa discutere di forme contrattuali più adeguate e dignitose per i precari.
Accorato l’appello della prof.ssa Maria Giuseppina Muzzarelli (docente di Storia medievale), la quale, esprimendo il proprio “imbarazzo generazionale”, ha invitato il rettore e le forze politiche di opposizione ad essere chiari, decisi, uniti e combattivi sui punti sui quali si intende far leva, esprimendo forti dubbi sulla possibilità di conciliare elementi tra loro contrastanti quali la qualificazione di molti, la ricerca pubblica e l’assenza di finanziamenti, ed esorta tutti ad una cosciente razionalizzazione delle risorse nell’ambito delle diverse sedi universitarie della regione.
Del medesimo tono l’intervento della prof.ssa Paola Monari, di Statistica, fortemente preoccupata per la situazione attuale, che ha invitato i docenti come lei a sostenere i ricercatori (che sono una ricchezza) e a non renderla vana assumendo l’incarico degli insegnamenti che potrebbero essere rifiutati in caso di protesta. A conclusione dell’assemblea, il rettore ha ribadito: «Preferisco sfidare il Governo piuttosto che sfilare» e l’onorevole Ghizzoni, ripetendo il forte dissenso che il PD esprimerà in Parlamento, ha chiesto dei toni più accesi anche da parte dei rettori e che vi sia un’azione convergente nei confronti della protesta dei ricercatori perché «la loro rabbia è l’unica cosa che il Governo teme».
In queste settimane di fermento all’interno delle università italiane continuano a prodursi occasioni di dibattito e critica pubblica sul DDL Gelmini di riforma dell’università. Così a Bologna, dove lo scorso 28 giugno, si è svolta una assemblea pubblica su questo tema organizzata dalla Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL di Bologna presso l’Aula Magna di Scienze Statistiche.
Sono intervenuti Manuela Ghizzoni (capogruppo del Partito Democratico alla Commissione Istruzione e Cultura della Camera dei Deputati), il prof. Ivano Dionigi (Magnifico Rettore dell’Università di Bologna), Patrizio Bianchi (Assessore Regionale Scuola, Formazione, Università, Lavoro) e Sandra Soster (Segretaria Generale FFLC CGIL Bologna). Soster ha iniziato col fornire un quadro generale della situazione in cui si trova l’università italiana alla luce dei provvedimenti normativi degli ultimi due anni. Ripercorrendo le tappe normative più recenti che hanno preceduto il DDL Gelmini (in particolare il DDL 112/2008 poi diventato legge 133/2008) e l’ultima manovra finanziaria, ha sottolineato come, da una parte, l’opinione pubblica e tutto il mondo del lavoro siano sensibili ai tagli sulla ricerca e sui giovani, puntando il dito contro gli enti locali e le forze di opposizione che – a suo parere – hanno avuto una reazione forte e decisa solo da ultimo. Con il disegno di riforma dell’università e con la recente manovra finanziaria – ha affermato Soster – « il merito viene archiviato come una categoria dello spirito, tutti sono ugualmente colpiti, alcuni più degli altri, ossia gli assegnisti e i docenti a contratto, spazzati via come stracci al vento anche se sono stati parte attiva nella produzione dei successi nella didattica, nella ricerca, nella gestione oculata degli atenei; e poi gli studenti e la qualità dei corsi e servizi loro offerti, della prospettiva dell’aumento delle tasse; sono i giovani e i meno giovani che non riusciranno ad entrare più e a garantire all’università il ricambio generazionale». Individuati questi nodi centrali, l’esponente CCGIL ha chiesto alle forze di opposizione e agli amministratori azioni convergenti verso due obiettivi: render bravi molti e finanziare ricerca e formazione. La parola è passata quindi all’onorevole Ghizzoni, la quale iniziando dal “percorso accidentato del disegno di legge” ha ricordato come «questo disegno di legge è stato più volte annunciato nel corso dell’anno scorso, la ministra si prese più di sei mesi dal momento in cui lo annunciò in pompa magna con un seminario (a cui le forze di opposizione non vennero peraltro invitate, ma vennero invitati soltanto alcuni rettori) e finalmente in ottobre lo depositò. Ad oggi ancora il progetto non è approdato in aula, non certo – come sostiene la ministra – per i ritardi dovuti ai farraginosi regolamenti del Senato, che in realtà non sono altro che tutele delle procedure democratiche. Il DDL, che ormai da un mese ha chiuso il proprio iter in Commissione Senato, non è approdato in aula perché molte cose sono state valutate prioritarie rispetto a questo disegno di legge, tra queste il decreto sulle intercettazioni, che è stato inserito con procedura d’urgenza in aula».
Manovra finanziaria permettendo, il disegno sulla riforma universitaria dovrebbe approdare in aula intorno alla metà di luglio. Quanto alla posizione del Partito Democratico, l’onorevole Ghizzoni ha ribadito con forza il fermo no e l’opposizione decisa che il suo partito ha già fatto in commissione Senato e farà nel momento in cui il DDL arriverà alla Camera, dove probabilmente si ripartirà quasi da zero in quanto il testo non è più quello licenziato dalla Gelmini.
L’onorevole ha aggiunto: «Questo ddl ha la stessa matrice dei provvedimenti sulla scuola. Questo governo procede a ridisegnare la società – democratica, uscita dalla costituzione – in modo regressivo, reazionario e lo fa intervenendo pesantemente sul sistema della conoscenza».
Nel suo intervento, il Magnifico Rettore dell’ateneo bolognese Ivano Dionigi, pur premettendo che l’80% dei principi del DDL possono essere condivisi e che le università con i propri statuti potranno agire in piena autonomia, ha rilevato tuttavia la situazione di tagli e di “cifre ballerine” che impediscono di elaborare un piano pluriennale certo. Questa situazione di incertezza – ha afferma– è aggravata dal contesto di credibilità pari a zero dei docenti e del personale accademico. Pertanto invita i docenti a fare una severa autocritica, in particolare sulla proliferazione di corsi in seguito alla riforma del 3+2, sulla improduttività scientifica di alcuni docenti e ricercatori, sui “docenti fantasma”, sui concorsi in cui a volte la selezione è “al rovescio”. Quanto alla situazione dei ricercatori – che viene definita “patologica” – il Rettore, ribadendo la posizione di solidarietà e sostegno assunta di recente dal Senato accademico, ha sostenuto che si debba innanzitutto moralizzare l’uso di queste risorse, che i posti flessibili si debbano relazionare alle assunzioni programmate e afferma che entro la fine dell’anno verranno banditi altri 22 concorsi.
Altro punto critico del decreto, secondo il Rettore Dionigi, è la totale mancanza di sostegno al diritto allo studio. Tuttavia, a fronte di altri atenei che hanno già programmato per il prossimo anno accademico un aumento cospicuo delle tasse universitarie e una diminuzione di finanziamenti per il diritto allo studio, il rettore ha informato che gli studenti di Bologna non pagheranno un euro in più di tasse e che non è stato loro tolto nulla dai sussidi al diritto allo studio.
L’Assessore regionale alla Scuola e Università Patrizio Bianchi, – ammettendo che la riforma universitaria del 2000 è stata un’occasione mancata di trasformazione dell’università dall’interno – ha condiviso il dissenso nei confronti di quella che ha chiamato “riforma Tremontini”.
Quanto alla situazione specifica dell’Emilia Romagna, ha proposto la riapertura della conferenza Regione-università – sottolineando come la piattaforma universitaria che va da Piacenza a Rimini debba ottimizzare le risorse al meglio e questo voglia dire «verificare l’offerta didattica, verificare le competenze esistenti, il funzionamento delle strutture di ricerca», e ha suggerito ai rettori di proporre degli accordi diretti col Ministero.
A margine degli interventi degli ospiti, alcuni dei presenti tra il pubblico hanno aggiunto osservazioni, dubbi e proposte. Tra questi, il prof. Leonardo Altieri (docente del dipartimento di Sociologia) ha notato, oltre l’estrema gravità dei tagli e il problema del precariato dei ricercatori, la mancanza assoluta di coerenza tra i principi della qualità della didattica e della meritocrazia affermati dal DDL e quella che dovrebbe essere la messa in pratica di questi principi.
Michele Filippini (della Rete Ricercatori Precari di Bologna), di fronte all’importanza e al ruolo indispensabile degli assegnisti e dei docenti a contratto, che sono un “pezzo di produzione del merito di questa università”, ha chiesto al rettore un tavolo di trattative grazie al quale si possa discutere di forme contrattuali più adeguate e dignitose per i precari.
Accorato l’appello della prof.ssa Maria Giuseppina Muzzarelli (docente di Storia medievale), la quale, esprimendo il proprio “imbarazzo generazionale”, ha invitato il rettore e le forze politiche di opposizione ad essere chiari, decisi, uniti e combattivi sui punti sui quali si intende far leva, esprimendo forti dubbi sulla possibilità di conciliare elementi tra loro contrastanti quali la qualificazione di molti, la ricerca pubblica e l’assenza di finanziamenti, ed esorta tutti ad una cosciente razionalizzazione delle risorse nell’ambito delle diverse sedi universitarie della regione.
Del medesimo tono l’intervento della prof.ssa Paola Monari, di Statistica, fortemente preoccupata per la situazione attuale, che ha invitato i docenti come lei a sostenere i ricercatori (che sono una ricchezza) e a non renderla vana assumendo l’incarico degli insegnamenti che potrebbero essere rifiutati in caso di protesta. A conclusione dell’assemblea, il rettore ha ribadito: «Preferisco sfidare il Governo piuttosto che sfilare» e l’onorevole Ghizzoni, ripetendo il forte dissenso che il PD esprimerà in Parlamento, ha chiesto dei toni più accesi anche da parte dei rettori e che vi sia un’azione convergente nei confronti della protesta dei ricercatori perché «la loro rabbia è l’unica cosa che il Governo teme».
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