domenica 8 agosto 2010

Ancora sul DDL Gelmini. A colloquio con gli studenti.

I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi,
hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto
con borse di studio, assegni alle famiglie
ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

Costituzione della Repubblica Italiana, art. 34

Del resto, mia cara, di che si stupisce,
anche l’operaio vuole il figlio dottore
e pensi che ambiente ne può venir fuori,
non c’è più morale, contessa…
P. Pietrangeli, Contessa


I provvedimenti più discussi contenuti nel DDL Gelmini riguardano, come abbiamo messo in luce nella scorsa intervista [http://rdsuniversita.blogspot.com/2010/06/la-protesta-dei-ricercatori.html], principalmente i ricercatori. Ma la nostra attenzione è caduta su un’altra norma contenuta nella bozza del disegno di legge: l’art. 4 “Fondo per il merito” per mezzo del quale “è istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze un Fondo speciale per il merito finalizzato a promuovere l’eccellenza e il merito fra gli studenti mediante prove nazionali standard (comma 1)”. Si tratta di un intervento riguardante il diritto allo studio; difatti “il Fondo è destinato a: a) erogare borse di studio da utilizzare per il pagamento di tasse e contributi universitari, nonché per la copertura delle spese di mantenimento durante gli studi; b) fornire buoni studio […] che prevedano una quota da restituire al termine degli studi […]; c) garantire prestiti d’onore […]” (comma 1). “Il Ministro, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze […] con propri decreti disciplina i criteri e le modalità di attuazione del presente articolo ed in particolare a) i criteri d’accesso alle prove nazionali standard; b) i criteri e le modalità di attribuzione delle borse e dei buoni di accesso ai finanziamenti garantiti; […] e) i requisiti di merito che gli studenti devono rispettare nel corso degli studi per mantenere il diritto a borse, buoni e finanziamenti garantiti; f) le modalità di utilizzo di borse, buoni e finanziamenti garantiti; […] i) le modalità di svolgimento delle prove nazionali standard” (comma 2). Sebbene il Fondo venga istituito presso il Ministero dell’economia e i criteri di funzionamento vengano disciplinati dal MIUR, “la gestione del Fondo, dei rapporti amministrativi con università e studenti è affidata a Consap s.p.a.” (comma 3) e “gli oneri di gestione e le spese di funzionamento degli interventi relativi al Fondo sono a carico delle risorse finanziare del fondo stesso” (comma 4). Ma chi eroga i finanziamenti per questo fondo? La risposta (vaga) negli articoli successivi: “Il Ministero dell’economia e delle finanze, con propri decreti, determina, secondo criteri di mercato, il corrispettivo per la garanzia dello Stato, da imputare ai finanziamenti erogati” (comma 5); “il Fondo speciale è alimentato con versamenti effettuati a titolo spontaneo e solidale effettuato da privati, società, enti e fondazioni, anche vincolati, nel rispetto delle finalità del fondo, a specifici usi, nonché con eventuali trasferimenti pubblici previsti da specifiche disposizioni” (comma 6); “il Ministero, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, promuove anche con apposite convenzioni, il concorso dei privati e disciplina con proprio decreto le modalità cui i soggetti donatori possono partecipare allo sviluppo del Fondo, anche costituendo, senza oneri per la finanza pubblica, un comitato consultivo” (comma 7). Nella bozza di decreto restano vaghi e dubbi molti aspetti, ad esempio la tipologia dei test nazionali, i finanziamenti su cui contare e dunque la quantità delle borse erogate.
Abbiamo chiesto, pertanto, un parere in generale sul DDL e in particolare sull’art. 4 ad Angelo Rinaldi, studente di Filosofia presso l’Ateneo bolognese e rappresentante degli studenti facente parte del “Sindacato degli Universitari”.
Le proteste più rumorose contro il DDL Gelmini sono state, finora, quelle dei ricercatori e di alcuni rettori. Le rappresentanze studentesche nazionali, invece, hanno espresso un parere in merito? Come hanno accolto questa proposta di riforma?
A livello nazionale le rappresentanze studentesche hanno espresso il loro parere su questo DDL; l’UDU (Unione degli Universitari) sia attraverso i forum istituzionali del Ministero sia attraverso il CNSU (Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari) ha posto un veto, ha detto “si parli di riforma ma si parli con gli studenti e non si chieda loro semplicemente una ratifica di ciò che è stato già deciso, e soprattutto si mettano in discussione i tagli”. Su questo l’UDU è stata molto netta e rigida: bisogna sfatare il mito per cui si può riformare l’università a costo zero. Un comportamento diverso abbiamo avuto dal CLDS (Coordinamento Liste Diritto allo Studio), che ha fondamentalmente ratificato già la legge 133 e ha chiesto dei piccoli compensativi sul diritto allo studio – che tra l’altro la Gelmini ha dato subito dopo il periodo dell’Onda, quindi come contentino per mettere a tacere quell’enorme protesta, cioè sono state concessioni frutto di una contingenza e non contrattazioni dirette del CLDS.
Esaminiamo la norma che riguarda più da vicino gli studenti, cioè l’istituzione del Fondo per il merito. Prima, però, può illustrarci l’attuale organizzazione del sostegno al diritto allo studio, i suoi punti forti e le criticità.
Attualmente il sostegno al diritto allo studio è gestito principalmente dalle Aziende regionali per il diritto allo studio universitario, che con i fondi provenienti per lo più dalle Regioni, finanziano le borse di studio. L’erogazione delle borse si basa su questo principio: se il nucleo familiare di cui fa parte lo studente rientra in determinati parametri economici, può fare domanda di borsa di studio (o usufruire di fasce di contribuzione ridotta, a seconda sempre dei parametri economici) presso l’università a cui è iscritto e, rimanendo immutate tali condizioni, lo studente usufruisce della borsa a patto che, ovviamente, alla fine di ogni anno riesca ad acquisire un certo numero di crediti formativi. Inoltre è previsto, almeno in Emilia Romagna, un certo numero di borse di studio per solo merito, erogato indipendentemente dai requisiti economici dello studente. Il punto di forza di questo sistema è proprio il fatto di considerare prioritaria la condizione sociale di partenza dello studente e di basarsi su quella per sostenere il suo diritto a studiare. Un difetto, a parer mio, è che questo sistema non tiene conto dell’andamento complessivo, cioè tiene conto, sì, dei crediti formativi, ma questi possono essere di qualsiasi tipologia, possono essere conseguiti con qualsiasi voto, e sono concepiti talvolta con un sistema molto rigido, cioè sono gli stessi sia per lo studente che studia e basta, sia per chi fa l’Erasmus, sia per chi lavora, sia per chi fa un’esperienza di tirocinio. Non è una cosa drammatica, certo, però da questo punto di vista si potrebbero creare percorsi più flessibili, diversificati a seconda della tipologia dello studente. Altro difetto è che si eroga il contributo non allo studente per il proprio percorso formativo, ma al suo nucleo familiare perché lo studente possa avere un percorso formativo; in tal modo non si prevede che proprio quei nuclei più disagiati chiedono un contributo maggiore allo studente. Infine difficilmente tutti gli studenti idonei ad usufruire della borsa di studio riescono ad essere anche assegnatari, poiché i finanziamenti non riescono sempre a coprire tutto il numero delle borse.
L’istituzione del Fondo per il merito come si inserisce in questo quadro? Risolve i problemi e le carenze dell’attuale sistema di diritto allo studio?
Assolutamente no, anzi, costituisce un passo indietro rispetto al diritto allo studio. Innanzitutto perché è un provvedimento che fa parte di una riforma che dovrà esser fatta a costo zero; a ciò si aggiunge il fatto che la riforma è preceduta e accompagnata da tagli, prima quelli della legge 133/2008 e poi da ultimo la manovra finanziaria, che taglia indiscriminatamente anche i fondi alle Regioni. Inoltre noi, come Sindacato degli Universitari, riteniamo che proprio il principio che sta alla base del Fondo per il merito sia sbagliato. La logica è questa: il Ministero eroga la borsa allo studente a prescindere dalla sua provenienza regionale, dall’appartenenza a un sistema di diritto allo studio (in quanto il fondo per il merito è su base nazionale) perché ha dei requisiti considerati meritori. Una volta ottenuta la borsa, lo studente va a scegliersi l’università che ritiene migliore. In sostanza è un’idea abbastanza malata di libero mercato del sapere. Dov’è che non funziona poi questa logica? Nel momento in cui si va a fare il test nazionale delle borse di merito, con un quizzone a crocette, quasi fosse l’esame per la patente, non il diritto allo studio. Altro problema: siccome il prelievo fiscale avverrà sulle borse di studio, per più anni il Ministero attribuisce borse di merito e per più anni le conferma agli studenti che le hanno già prese, meno soldi passa alle Regioni per il diritto allo studio. E quindi meno soldi le Regioni sono vincolate a metterci perché c’è il vincolo che se, ad esempio, il Ministero eroga un euro, la Regione deve mettercene un altro. Quindi tagliando un euro se ne tagliano due. La nostra paura qual è? È che si vada a togliere il diritto allo studio come welfare, come diritto sancito costituzionalmente, e lo si vada a trasformare in un incentivo premiante basato su criteri di merito che sono tutt’altro che discutibili. La meritocrazia intesa in questo modo porta alla scelta di coloro che magari provengono da un tessuto sociale migliore ed hanno possibilità economiche maggiori, quindi si va a selezionare il più forte socialmente, si va a rimarcare una gerarchia economica. Tutt’altro che studio inteso come mezzo di progressione sociale. L’Università invece, essendo un’istituzione formativa, deve avere la serietà e il coraggio di dare i mezzi prioritariamente a chi non li possiede, a chi economicamente non ce la fa (a patto sempre che rispetti e rientri nei parametri economici e di crediti conseguiti), soprattutto in questo periodo. Invece si istituzionalizza un principio esattamente opposto.
In generale, al di là dell’art. 4, qual è il vostro parere sul DDL Gelmini?
Secondo noi, sulla governance contiene un principio condivisibile: il fatto che il CDA e il Senato accademico debbano avere competenze nette e diverse. Per il resto, questo è un testo non discutibile, ma proprio irricevibile perché intende riformare l’università senza investire neanche un soldo. Se davvero si vuole parlare di riforma dell’università, allora, secondo noi, bisogna prendere in considerazione questi punti: diritto allo studio, qualità della didattica (che non dovrebbe essere semplicemente riproduttiva, soprattutto nelle facoltà umanistiche, e non dovrebbe basarsi solo sulla quantità degli studenti laureati), governance migliore, responsabilità (non si possono aprire le sedi universitarie come i funghi). Se la riforma deve servire solo a fare cassa, allora no, non si discute neanche. Per questo le ultime normative sono irricevibili, perché noi vogliamo parlare di università come istituzione formativa, il governo, invece, di esigenze di bilancio spacciandole per riforma.

Emanuela De Luca