venerdì 15 aprile 2011

Legge Gelmini. Il dibattito continua. I ricercatori precari.

Intervista a Francesca Ruocco, ricercatrice precaria in Geografia Urbana presso l’Università degli Studi di Bologna e portavoce della Rete dei Ricercatori precari di Bologna.

A cura di Bijoy M. Trentin e Emanuela De Luca


1) La riforma universitaria da poco approvata dal Parlamento modifica il sistema universitario in particolare in tre settori: organizzazione interna delle università, diritto allo studio, stato giuridico e forme di reclutamento dei ricercatori e dei professori. Nel complesso, qual è il Suo parere su questa riforma?

Nel complesso il mio parere su questa riforma è negativo per una serie di motivi fondamentali. In primo luogo, perché è impossibile riformare “a costo zero”, come la legge Gelmini tenta di fare (nel testo si ripete ben diciassette volte “senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica”). In secondo luogo, perché il nuovo sistema di governance universitaria disegnato dalla legge mira a ridurre gli spazi di democrazia all'interno degli Atenei (concentrando poteri nelle mani dei Rettori e di CdA nominati e non eletti) e a dare poteri di indirizzo, anche su didattica e ricerca, a soggetti esterni alle Università stesse. In terzo luogo, perché precarizza ulteriormente la figura del ricercatore (attraverso l'eliminazione del ricercatore a tempo indeterminato e la sua sostituzione con il ricercatore a tempo determinato), senza garantire una vera tenure track per i giovani meritevoli (che hanno di fronte a sé fino a dodici anni di precariato) e senza prevedere sbocchi reali per i precari “storici” della docenza e della ricerca (che, nella maggior parte dei casi, rischiano semplicemente di essere espulsi). Infine, perché sul fronte del reclutamento non elimina ma anzi rafforza il cosiddetto “baronato universitario” (a causa della riduzione delle risorse e dei posti disponibili, e dei concorsi, dopo l’abilitazione nazionale, comunque locali).

2) A Suo parere, vi erano degli elementi positivi nel vecchio modello universitario? E quali erano i problemi?

A mio parere il vecchio modello universitario era riuscito quantomeno a garantire lo sviluppo e l'esistenza di un'Università pubblica e di massa in Italia, ma necessitava certamente di riforme profonde. I principali problemi secondo me erano: l'eccessiva proliferazione di sedi universitarie e corsi di laurea, il “sistema baronale” che inficiava la libertà e l'indipendenza della ricerca, la proliferazione del precariato, lo scarso rapporto con il territorio ed il suo tessuto economico, sociale e culturale.

3) Ritiene che con la nuova riforma i problemi da Lei evidenziati troveranno soluzione? In che modo?

Ritengo che la nuova riforma non risolva del tutto o non risolva in maniera adeguata i problemi indicati. Infatti, per quanto riguarda l'eccessiva proliferazione di sedi e corsi universitari, la nuova riforma - insieme al Decreto ministeriale 17/10, il cosiddetto “taglia corsi” - elimina corsi di laurea e riduce drasticamente l'offerta formativa solo sulla base di criteri numerici troppo rigidi e quantitativi, senza alcuna valutazione qualitativa e di merito. In sostanza, ancora una volta il problema principale è solo la riduzione dei costi tramite il taglio radicale dell'offerta formativa e del numero degli studenti. Per quanto riguarda “sistema baronale” e proliferazione della precarietà si è già detto in precedenza rispondendo alla prima domanda. Infine, per quanto riguarda il rapporto con il territorio potrebbe essere una strada giusta quella di coinvolgere esterni (enti, istituzioni o aziende) in progetti ed attività specifiche, ma non certo nelle modalità proposte dalla legge Gelmini (che, peraltro, dà a questi ultimi poteri eccessivi senza che l'Università stessa ne riceva nulla in cambio).

4) Sin dalla presentazione sotto forma di bozza, il decreto sull'università è stato oggetto di numerose critiche, soprattutto dai ricercatori e dagli studenti, che hanno attivato da subito diverse forme di protesta, che hanno assunto, in prossimità dell'approvazione definitiva, forme inaspettatamente dure. Lei ha condiviso le ragioni e le forme della protesta? Pensa che, nonostante l'approvazione della riforma, abbiano avuto e possano avere ancora qualche utilità?

Ho condiviso e partecipato, insieme alla Rete dei ricercatori precari di Bologna, alle forme di protesta contro la legge Gelmini, innanzitutto perchè non erano in difesa dell'esistente ma provavano ad evidenziare le principali criticità del ddl e a fare delle proposte. Credo sia ancora utile continuare la mobilitazione, in primo luogo per evitare i danni peggiori che la legge approvata rischia di causare. In questo senso, è importante che gli studenti, i ricercatori - precari e strutturati -, i docenti ed i tecnici amministrativi che nei mesi scorsi si sono mobilitati continuino a far sentire la propria voce e ad avanzare le proprie proposte in occasione sia della riscrittura degli statuti degli Atenei che devono recepire la riforma, sia per quanto riguarda i numerosi decreti ministeriali attuativi. Inoltre, è importante tenere aperto un piano di elaborazione collettiva nella speranza che questo o un altro Governo possano in futuro apportare emendamenti e modifiche alla legge stessa.

5) Se Lei facesse parte di una commissione incaricata di elaborare una riforma dell'università, quale sarebbe la Sua prima proposta?

Innanzitutto vorrei la garanzia che l'Università e la ricerca fossero adeguatamente rifinanziate e venga quindi riconosciuto il ruolo strategico che giocano per il futuro del Paese. In assenza di questo, qualunque proposta di riforma potrebbe solo “rattoppare” una situazione di crisi già grave.